Recensioni

ALDO CASTELPIETRA

Il teatro che vuol dire guardare, contrapposto al dramma che vuol dire agire, è la grande passione di Franca Batich. Ma l’artista ci risarcisce di questa sua renitenza partecipativa agendo a posteriori, differendo la recitazione al palcoscenico del suo studio in cui si prodiga in lunghi monologhi tra le quinte delle tele ricettive. Ed è così che le vuote tele di iuta si riempiono progressivamente delle spazialità di grandi teatri deserti e polverosi, di massicce ma contemporaneamente eleganti oscurità che incombono su nude lampadine eroiche e striminzite.
I calibrati rapporti delle campiture astratte da qualche anno si accompagnano ad animati controcampi in cui, costipate tra le feritoie dei palchi, tirano i fili dei loro burattinai miriadi di marionette emancipate.
Un po’ disegnate, un po’ fotocopiate, comunque assemblate in caotici equilibri in cui i fili conservano una loro autonomia geometrica. I quadri dell’artista, diventati palcoscenici per le capriole dei ruoli così come dei saltimbanchi, anche quando si popolano di figure, trattano pur sempre di figure malinconicamente vuote. E il “Vuoto” continua così a essere, dietro i colori della ribalta, il vero motivo ispiratore delle delicate poesie di Franca.

A. Castelpietra. Soavi scenografie, “Il Piccolo”, 18 febbraio 1989

GIULIO MONTENERO

Franca Batich costruisce teatri per i sogni dei burattini, collage di garze, tele e carte che strappano con lunghi fili i ricordi migliori alla pittura degli anni recenti e li condensano fra gli spessori generati dai cambiamenti di luce sulla scena, brevi interstizi in cui precipita la tenerezza verso quei balocchi animati dall’invisibile, simili agli uomini veri.

G. Montenero. Tre alla Malcanton, “Il Piccolo”, 9 settembre 1991

MARILY CONTI

“… La fantasia crea la realtà di quell’esistenza perduta che oggi non esiste solo in una speranza, ma nel nostro dovere di ricostruire. La sabbia non ha ancora scandito nella clessidra del tempo, da noi “inventato”, la nostra condanna. È questo il messaggio contenuto nell’opera di Franca Batich che espone in una personale fino al 31 gennaio, alla Sala comunale d’arte, le sue ultime opere in un itinerario esistenziale, che nel suo percorso scandisce i temi tormentati della problematica odierna, della sensazione della “vacuità” dell’essere, la solitudine, l’ecologia. Franca Batich lavora da anni con attenzione e una rigorosa serietà che hanno portato la sua creatività pittorica a maturare e a svilupparsi per giungere a queste opere ricche di significati e fortemente attuali. Dalla magia dei mondi di dolci “pierrots”, soli in grandi palcoscenici, simbolo della scena della vita, alle figurine festose di colori del circo, luogo che pare gioioso ma colmo di una tristezza intensa, l’artista per mezzo di una simbologia sempre astratta, informale, colorata, svolge un itinerario esistenziale.

Inseguire il vento è titolo della sua mostra. Vento è “sconvolgere”, “spazzare via”, e pulire spazi metaforici di un mondo contaminato, è trascinare e trattenere i ricordi e le melanconie che Franca Batich rompe in mille pezzetti di colore e forme, usando i collage, il plexiglas. Il suo mondo un palcoscenico, l’uomo la maschera nella sua melanconia intesa in senso “shakesperiano”…

M. Conti. Maschere e fantasia per uscire dal grigio, “Trieste Oggi”, 29 gennaio 1993

MARIANNA ACCERBONI

“… Interessante, per quell’arte colta e del pensiero, che trae origine dalla ricerca interiore svolta dagli intellettuali di area mitteleuropea, antesignani del genere in Europa, è l’ultima esposizione di Franca Batich, presente con una decina di opere fino al 31 gennaio alla Sala Comunale d’Arte di Piazza Unità. “Inseguire il vento” è il titolo della rassegna. Ma qual è il colore del vento? “Indaco” risponde la pittrice “il colore dello spazio e dello spirito” e, qualche volta, il grigio. Difatti tutte le opere in mostra sono realizzate su questi toni e la superficie pittorica, modulata su tale particolare scelta d’azzurro, è stata realizzata con materiali poveri, che presentano un aspetto dilavato e consunto, alludendo alla deperibilità e alla vanità delle cose di questo mondo.

Dall’olio magrissimo, creato dall’artista con speciali solventi, che dona tale aspetto spento e vissuto alle atmosfere evocate dalle opere, nasce l’approccio alla chiave di lettura della rassegna. “Inseguire il vento” è infatti un breve frammento tratto dal “Ecclesiaste”, un sapienziale dell’Antico Testamento, in cui si esprime il concetto che tutto è vanità, un motivo pessimistico che però per la Batich si traduce – attraverso l’arte- in pretesto di speranza. Nelle scabre geometrie che sottendono il linguaggio pittorico dell’artista, si ripete, come su un palcoscenico, la scena della vita, mentre fili sottili di significato esoterico guidano le azioni. Quelle di un uomo che è già uscito dalla scena, e di cui spesso compare l’ombra, mentre un tendaggio bianco, colore che nel Medio Evo alludeva alla leggerezza dello spirito, simbolizza il proscenio. Rimandi antichi per un’espressione pittorica contemporanea; mentre un raggio di luna – la speranza, un sogno – s’infrange su un graticcio di carbone.

Accompagna questa mostra, asciutta nello stile, colta per l’intimo filo conduttore che l’ha ispirata e che la guida, una stupenda serie di oli su carta che ancora rappresentano e alludono, mediante colori miscelati con grande sensibilità e interrotti da felici interventi grafici, alla ricerca interiore dell’artista. Immerso in rarefatte e silenziose atmosfere metafisiche, Pierrot parla con il suo “alter ego”; compaiono il gioco delle maschere e dello specchio, la leggenda di Narciso arricchita di delicate calcografie di De Chirico; i sogni, le lune e le notti si rincorrono, mentre il personaggio di Pierrot assume le sembianze – e la sapienza – del lontano Oriente…

M. Accerboni. I colori del vento- rassegna di F. Batich, “Il Piccolo”, 31 gennaio 1993

CARLO MILICH

“…E’ proprio un vento di nostalgia che coagula presenza/non presenza sulla tela, immagine e ricordo di questa, sostanza ed ombra passata attraverso la luce. In un continuo spostamento, che radica i frutti materici e di segno pittorico, sino a trasmutarli in linguaggio. Tale risposta alla fugacità della traccia visiva perviene così a stabilire (nel tradursi della continuità della contemplazione in istante irripetibile, ma fermo) un nesso vago e tuttavia suggestivo tra pittura e meditazione filosofica; un bersaglio raggiunto della freccia che l’arciere, che è in noi, aristotelicamente saetta alla ricerca dell’essere…

C. Milich. Inseguire il vento, pieghevole della mostra “Inseguire il vento”, 20-31 gennaio 1993

ENZO SANTESE

…L’artista riempie la superficie pittorica come fosse un palcoscenico, utilizzando un ricco ventaglio di opzioni espressive, dalla velatura alla sovrapposizione materica, dalla stesura corposa all’impalcatura disegnativa incisa che determina la struttura vertebrale del quadro. L’opera si segnala per la levità nella composizione, capace di far vibrare la poesia; anche con il suo lavoro più recente Franca Batich sembra ribadire che il mondo contemporaneo, per essere vissuto interamente, ha bisogno di incanti e illusioni, esattamente come il circo che ha il pregio potenziale di mutare (da qui il senso delle “metamorfosi”) se non proprio la sorte del singolo, almeno la faccia delle sue giornate altrimenti sempre uguali a se stesse…

E. Santese. Franca Batich esplora “il circo e le sue metamorfosi”, “Il Mercatino”, 30 agosto – 5 settembre 1997

ENNIO STEIDLER

“…Risaltano invece misteriosi giochi di scansioni attraverso gamme coloristiche rese con bagliori ora rossastri ora azzurri o con più pacate stesure di grigi luminosissimi.
Tutto sembra ricondursi in spazi rarefatti e senza tempo definiti solo dall’allusione della “Linea d’orizzonte” tesa in un tenero quanto ipotetico abbraccio con la realtà. Tra queste recenti opere presentate dalla Batich, tutte di indubbia suggestione, alcune di ampio formato risaltano per i rapporti di piani percettivamente differenziati, altre ancora, gemme sacrificate in una cartella, chiedono solo di essere scoperte...

E. Steidler. Opere recenti di Franca Batich in una mostra a “Linea d’orizzonte”, “Il Mercatino”, 5-11 dicembre 1998

SERGIO MOLESI

In questo periodo nella galleria Malcanton sono esposte a rotazione alcune significative testimonianze del lavoro d’artista di Franca Batich, che consentono di farsi un’idea dell’ampiezza dei suoi interessi sul piano tematico, linguistico e tecnico. Modi operativi diversi, dal bozzetto alla tecnica mista, dal bidimensionale al tridimensionale e al materico. Approcci linguistici variegati dall’astratto aniconico, all’allusivo, al figurativo. Tale varietà è unificata da un tratto peculiare, che Franca Batich propone come suo e porta avanti in ogni contesto, cioè l’articolato rapporto tra struttura e colore, ovvero tra i momenti eterni del progetto e del destino.”

Direi che questi “momenti” sono rappresentati in modo più esplicito nei lavori figurativi e più velatamente nelle opere astratte, dove solo elementi a collage e campiture di colore suggeriscono un silenzio metafisico in bilico tra spazio e tempo. Si creano così suggestioni che sono state percepite da che ha visitato le sua mostre e conosciuto il suo lavoro.

S. Molesi. Presentazione della mostra “Qui e Altrove”, “Trieste Oggi”, 8 marzo 1999

BARBARA ROMANI

Ai quadri della triestina Franc Batich è stato dedicato lo spazio della sala mostre del Circolo Generali di piazza Duca degli Abbruzzi dall’8 al 12 marzo: la personale “Qui e Altrove” è l’ultima mostra, in senso temporale, di una lunga e intensa attività espositiva iniziata negli anni ’60 in ambito universitario e caratterizzata da numerose esposizioni in Italia e all’estero. Ben undici le grandi tele esposte trattate con varie tecniche miste a colore puro: il filo conduttore di questi lavori è la rappresentazione del tempo e del luogo, di quello che c’è qui, dove noi viviamo, il punto e il modo dell’esserci e quello che sta al di là di noi, lontano nello spazio e nel tempo. Questi ultimi, catturati nell’istante e proiettati in una dimensione astratta, sono rappresentati da grandi campiture di colore con pennellate materiche, dense, stemperate sulla tela: vengono creati così luoghi irreali, infiniti, deserte distese. Su di esse non c’è altro che il colore, col quale l’artista crea le sue opere e dal quale si fa condurre. Franca Batich lavora spiritualmente, i suoi quadri nascono da sensazioni interiori, da un lavorio istintivo in continua antitesi con la materia e a tal punto da creare qualcosa di “bizzarro perché è il quadro stesso a dettare le sue leggi, a voler essere una cosa invece che l’altra”.

Quest’arte si potrebbe definire astratta: essa non è rappresentazione del mondo esteriore ma solamente di quello intimo attraverso la visualizzazione di forme, linee e colori. Agisce così psicologicamente anche sull’inconscio dell’osservatore: l’artista comunica il proprio “io”grazie a relazioni reciproche di luci, colori, linee e volumi. Le grandi e dense distese di colore sono attraversate da linee che si intersecano, formano triangoli, spazi metafisici, conducono a un punto focale che sta al di là del quadro, appunto altrove. Questi sottili fili si perdono nella lontananza, nello spazio e nel tempo, ma contemporaneamente danno il senso dell’orizzonte, della misura tra il qui e ciò che sta al di là. Rendono la serena frattura che c’è fra il tempo passato e il futuro e conducono l’osservatore e l’artista stessa verso qualcosa che sta al di fuori e non solo della tela ma anche del tangibile umano. Opere di tonalità diverse si completano a vicenda e risaltano l’una accanto all’altra sulle bianche pareti della sala dove sono esposte. I lavori della Batich sono un insieme di colori accesi e tinte più sobrie. Così “Red uno” e “Red due” (smalto e collage su tela) sono spazi di un rosso intenso: il primo rappresenta un tramonto, qualcosa di inquietante, quasi una fine dove però sotto forma di mosaico è rappresentata una vibrazione solare che illumina il tutto; il secondo è costituito da uno spazio rosso acceso contrapposto nella zona inferiore, di base, da uno spazio di colore più intenso nel quale si riflette una pozza di luce, un qualcosa che non c’è. A queste si contrappongono opere dai colori più tenui: gradazioni di grigio e nero in “Continuum” rendono uno stato tonale, quasi contemplativo. Una campitura sindonica, una tela sulla tela, il sovrapporsi di due elementi è “Rifrazione uno”: di grandissimo effetto materico è lo sfondo chiaro, di un colore caldo e tale da far venire alla mente la sabbia del deserto scaldata dal sole, sul quale compaiono riflessi marroni e rossi permeati dalla luce solare. E quest’ultima è presente anche in “Tempo sospeso”dove una sottile fascia nera ben si armonizza fra il beige e il grigio sui quali risalta uno spiraglio color oro. Olio e collage su faesite, cartone su cartone con un inserto di legno, creano movimento e consistenza fisica al cielo grigio dello sfondo di “Campitura gravitazionale” attraversato da una sinuosa campitura viola. Spazi lontani e vicini, tempi vissuti e che verranno, terra, cielo, orizzonti: dall’inconscio della pittrice si mostrano a noi come personali paesaggi astratti e contemplativi.

B. Romani. Qui e altrove di Franca Batich nella Sala del Circolo Generali, “Trieste Arte & Cultura”, aprile 1999

TINO SANGIGLIO

…Le vibrazioni dell’anima, i moti interiori che agitano la vita e la portano spesso alla soglia del dubbio e dell’incertezza, i dati della memoria che si affollano e chiedono di essere portati alla luce e di riappropriarsi del loro spazio, il guazzabuglio lacerante di tensioni e di incertezze, le tempeste dei sentimenti di rado sono rappresentati nelle opere d’arte: impresa ardua preclusa agli improvvisatori e riserva invece di artisti di vaglia, com’è Franca Batich, che di questa difficile materia intarsia il proprio lavoro pittorico…”

“…l’arte della Batich è espressione di una poesia di silenzio e del silenzio, che quasi non parla, sussurra e suggerisce invece, che sostituisce il sensibile con l’allusivo; e, se pure è pagina di intensa spiritualità, essa scorre in una singolare, personalissima atmosfera di lirismo denso di soffusa malinconia ma anche di rasserenata armonia…

T. Sangiglio. Franca Batich, diario di un’anima, “Voce giuliana”, 16 dicembre 1999

SILVANO CLAVORA

“…Grandi spazi, sinonimi di grandi silenzi, attraversati da poche e sottili linee rotte, quasi sempre oblique, che danno l’impressione, nonostante la loro esiguità, di “riempire” tutta la superficie dipinta. Linee che occupano, tagliano, organizzano lo spazio e danno ritmo alla composizione.

A volte, la parte inferiore del quadro è interessata orizzontalmente da una lunga fascia di colore più scuro, spesso materica con effetti volumetrici, che da evidenza e stacco alla spazialità soprastante, silente e infinita, tanto da farci dire, citando il Leopardi, “…aldilà di quella, interminabili spazi, sovrumani silenzi e profondissima quiete, io, nel pensier mi fingo”.”

S. CLAVORA. Franca Batich sfida “la quiete, l’immaginario e il caso”, “Il Mercatino”, 22-28 aprile 2000

FABIO FAVRETTO

Non è azzardato rapportare l’informale di Franca Batich a quella sua produzione meno nota, con soggetto i burattini ed il teatro, perché, proprio da essa, che svela l’attenzione dell’artista verso la figura, prende avvio il percorso trascendente verso la dissoluzione del riconoscibile. Se infatti gli uomini sono quanto Carl G. Jung definiva “Persona”, individui che, come nella commedia greca e dell’arte, hanno l’identità del ruolo fissato dalla maschera, così anche il mondo non è altro che un palcoscenico dove si rappresenta una recita e Franca Batich ne crea delle possibili scenografie. L’artista, dunque, è libera di elaborare lo sfondo di questa commedia dove la realtà e l’apparenza si confondono e quindi superano il mondo fenomenico che diventa, allora, definibile anche da parti estrapolate di colore e di forme. E’ la sublimazione, il passaggio da uno stato all’altro della materia e dell’essere, saltando mutamenti intermedi: Franca Batich trasforma la figura in allegoria e l’allegoria in astrazione, ma sempre all’interno coerente di un unico progetto. Così, ciò che potrebbe apparire opposto nelle opere di Franca Batich, si scopre essere, con fine realizzazione tecnica, una unica lettura di una interpretazione attenta e complessa dell’esistenza.

Catalogo “Excerpta. Artisti del Friuli Venezia Giulia”, a cura di F. Favretto e V. Sutto, 2004

MARIANNA ACCERBONI

Franca Batich rappresenta una delle artiste più significative del secondo Novecento triestino poiché attraverso un’inesausta ricerca ha saputo interpretare con nitida delicatezza e intensità, con tecnica ineccepibile e raffinata originalità le pulsioni di un’epoca, i suoi problemi e le sue emozioni.

Due sono gli ambiti di intervento della pittrice, che rappresentano lo sfondo in cui lei colloca i suoi racconti interiori: il paesaggio, spesso inondato dal sole rosso del tramonto – non a caso la mostra si intitola Occidente, quale riferimento culturale più che geografico – e il palcoscenico, in cui Batich dipinge il teatro della vita, le sue incertezze, i non sense e i suoi misteri, l’ignoto. Suggestioni surreali e picassiane, simbolismo e sintesi postmoderna sottendono il filo conduttore del racconto per immagini, sospeso tra un velo di malinconia e la bellezza dell’orizzonte. Che, infuocato, azzurro, grigio “scialbato”, come piaceva a Montale, dorato o bruciato come l’autunno, rappresenta pur sempre un confine.

Il paesaggio è dipinto come emozione e trasparenza di uno stato d’animo; le maschere, i Pierrot e i pinocchi siamo tutti noi, appesi a fili del destino e guidati inopinatamente verso l’inevitabile fine della rappresentazione.
Nello scandire la propria pittura con tratti delicati e magistrali, Batich è supportata da una tecnica ineffabile, che si avvale di materiali eterogenei, semplici e lievi (fili aggrovigliati che simbolizzano un coacervo di pensieri, legno, collage trasparenti di carte, stoffe e perspex) e di ampie, efficaci campiture, che l’artista sa coniugare con personale, esplicito equilibrio.

Nella sua pittura e nei disegni s’intrecciano cromatismi intensi e matericità impalpabili, per tentare di svolgere il filo della vita e d’intuire le ombre e le luci in un elegante, profondo e tenace gioco psicologico di riflessi, di meditazione, di sottili premonizioni e d’ironici appunti.

M. Accerboni. Occidente – Percorso antologico 1985-2005 – testo conferenza stampa c/o Biblioteca Statale di Trieste, 14 ottobre 2005

CORRADO PREMUDA

…Il paesaggio rappresenta lo stato d’animo dell’artista, è il sole rosso del tramonto, è l’occidente quale punto cardinale del tramonto del sole: ecco le linee che indicano l’altrove, un punto metafisico, la ricerca nell’astrazione. Il palcoscenico per contro è il teatro della vita, fatto di figure del mito, della fiaba, un teatro dell’arte dove il palco alla fine si svuota e restano di nuovo ilo tramonto, l’orizzonte, l’occidente…

C. Premuda. L’Occidente di Franca Batich, “In Città”, 14 ottobre 2005

ROBERTO AMBROSI

Questa mostra, creata ed organizzata dall’Istituto Giuliano di Storia, Cultura e Documentazione, al quale va sentito ringraziamento di che si interesse a mostre di livello, fa parte di un ciclo e assieme alle precedenti, tra le quali in particolare l’antologica intitolata “Occidente”, Inseguire il Vento, Qui e Altrove, Dietro le Quinte, offre all’attento fruitore uno spaccato significativo dell’opera di Franca Batich, personalità di spicco nel panorama artistico triestino, incline per sua natura ad una riservatezza propria di persona sensibile, educata e colta.

La mostra si esplicita in due grandi sale: nella prima, i paesaggi più facilmente riconoscibili, significanti precisi momenti caratterizzati dalla forza della luce; nell’altra, introdotti da tre personaggi –Isso, Issa e o’ Malamente- che collegano idealmente le due in apparenza diverse fasi, il palcoscenico ed il teatro della vita, il fluire della stessa, sin dall’origine primigenia (l’uomo, la donna, il male strisciante e subdolo).

“E fu sera e fu mattina”, versetto della Genesi che descrive l’apparire della luce, del tempo, dello spazio.
La serietà e l’importanza di questo evento artistico necessitano di due piani di lettura da parte di una critica rispettosa del pubblico: il primo, semiologico – formalistico, dove i segni e le forme vengono analizzati nella loro peculiarità – linea, colore, chiaroscuro – ed il secondo, vicino al metodo iconologico, dalla derivazione simbolica psicoanalitica, che legge il significato allusivo e simbolico dell’opera d’arte.

La linea di Franca Batich è riassuntiva negli elementi e nelle qualità dell’oggetto; è prospettica, serve a misurare lo spazio e ci dà l’illusione della terza dimensione, talvolta implicita nel colore stesso. Il suo andamento è melodico, pur sembrando razionale, quasi geometrico, poiché quasi entrando ed uscendo dal quadro, addolcisce un dettame in apparenza rigido…

Il chiaroscuro dà forma e corporeità agli oggetti per il rapporto tra ombra e luce. Franca Batich ottiene questi risultati in modo originale inserendo elementi predipinti; questi evidenziano un chiaroscuro sintetico e luministico, dove non conta la consistenza delle cose o il loro apparire fenomenico.

Nel colore, qualità della luce di cui il corpo è portatore, si evidenzia in particolar modo la delicata e raffinata abilità dell’artista. È un colore tonale, che forma un tutto unico inglobando in sé l’idea del volume e dello spazio. I colori sono simboli archetipi di natura, trasmessi per via ancestrale. E non a caso la scelta sapiente di alcune tonalità cromatiche trasmette sensazioni ed emozioni che diventano incontro tra luce del mistero dell’anima e del cosmo.

Nella sala dei burattini e delle maschere d’arte gli emozionali sfondi accompagnano malinconicamente gli attori che sembrano dissolversi ed allontanasi, uscire quasi dalla scena (teatro della vita) dopo aver interpretato i ruoli usuali, dettati dalla beffarda ironia del destino. Realtà ed apparenza sono intrecciati , il mondo risulta teatrino di una rappresentazione e il teatro l’allegoria della vita.

Silenziosi e incorporei i Pierrot e i Pinocchi, guidati da linee e fili, ci portano ad un mondo malinconico e misterioso, ad un’astrazione surreale, ad una concezione vitale senza sussulti ne’ remote prospettive. In queste atmosfere, rievocanti solitudine, sconforto, quasi desolazione, la testa di Pierrot e di Pinocchio può però riergersi, può riprendersi una vitalità sino ad oggi ignota e la speranza, ultima dea, viene riproposta da Franca Batich da una sottile allusione alla luce, alla verità e alla vita.

La luce del giorno (e fu mattina) ridiventa sinonimo di vita e di speranza e corre libera, calda e fremente, si è liberata dall’algidità irreale che la costringe a lunghi silenzi e la paraboa dell’esistenza, vivificata dalla luce della speranza, passa, attraverso ogni fase caratteristica della vita, sino ad arrivare (e fu sera) ad una sua naturale conclusione.

Le parole dell’artista ci aiutano in questo processo: “i concetti vengono rappresentati come una messa in scena della amletica parabola dell’esistere, che dalla complessità della vita passa alla sua conclusione, nella speranza di trascendere in una nuova, altra, misteriosa dimensione.”

Per sintetizzare in breve l’attività artistica di Franca Batich, come si può evincere anche da questa particolare mostra, mi sembra opportuno affermare che la sua è una sintesi elevata, colta e raffinata del sognare, del sentire e del capire, luogo di dialogo tra surrealismo, espressionismo e cubismo.

R. Ambrosi. Presentazione alla mostra “E fu sera e fu mattina”, 5 novembre 2007

MARIANNA ACCERBONI

…“E fu sera” allude all’oscurarsi dell’orizzonte nella notte e nella morte. E a tal proposito va notato che l’esposizione si apre con l’opera intitolata Parabola, in cui è dipinta una curva in campo nero sullo sfondo di un tramonto. “E fu mattina” si riferisce invece all’alba, alla nascita, a un nuovo inizio, collocati in una parabola metaforica e in un eterno divenire che, sintetizzati attraverso il segno e sottolineati dal colore, indicano la concezione della vita da parte di quest’artista, sospesa tra simboli e vigore espressivo, tra delicata effervescenza tonale e intensità simbolica…

M. Accerboni. Incontro di luce e notte dentro i quadri di Franca Batich alla Statale di Gorizia, “Il Piccolo”, 11 dicembre 2007

CLAUDIO MAGRIS

…È il colore che mi incanta nelle creazioni di Franca Batich; che mi ha toccato a fondo specialmente da quando ho visto quella sua mostra intitolata Occidente, un vero canto alla vita e al suo tramonto, in ci essa arde con più passione e si spegne in una brace di lontananza che annuncia il nulla ma riscalda il cuore e dà il senso che, nonostante tutto ciò che ragionevolmente dimostra il contrario, la vita vale la pena di essere vissuta. Poche cose dicono l’intensità, la religiosità, l’eros, la sacralità, la carnalità, il glorioso sfacelo del vissuto come quei tizzoni ardenti del tramonto, quei cieli o fondi rossi e gialli, con tutte le loro sfumature, i loro passaggi e il loro trascolorare, che non so tecnicamente analizzare. Chiamo rosso quel colore di Franca Batich, rosso Batich che però è anche giallo ed è pure altri colori; autunno che tinge cieli e superfici e vuoti come il sommacco tinge con le sue rosse foglie il Carso…

…Franca Batich scandisce quei suoi meravigliosi fuochi, quei crepuscoli dal lentissimo svanire, quelle vampe di passioni, in rigorose forme geometriche che danno loro sostanza. La poesia, l’arte, è sogno, ma è anche e soprattutto capacità di non perdersi nel sogno, bensì di dominarlo…

…Occidente, parola che ha già in quelle dolcissime e insinuanti consonanti palatali è una sirena; Occidente, rosso Batich, paese della sera…

C. Magris. Rosso occidente

ALESSANDRO MEZZENA LONA

…Quei versi di Eugenio Montale non sono messi lì a caso. Sembrano tracciare una strada. Vogliono aprire un percorso alla comprensione della pittura di Franca Batich. Dicono: “Tutte le immagini portano scritto: più in là!”. E guardando le opere dell’artista triestina sembra propri di dover spostare ogni volta la linea dell’orizzonte un po’ più in là. Per partecipare al suo viaggio creativo…

…Più che un catalogo, “Inseguendo il vento” è una suggestiva antologia di recensioni, versi, metafore e pensieri. Ma soprattutto di immagini di quadri. Che portano chi guarda a ripercorrere il cammino artistico di Franca Batich, tra paesaggi dell’anima, presenze di sogno, suggestioni al limite dell’astrazione, perturbanti incursioni nei territori dell’inconscio.

L’artista si diverte a giocare con il lettore nascondendo la propria vera identità dietro le maschere. Che, in realtà, alla fine si rivelano far parte dell’essenza stessa di chi si specchia nella tela. Di chi affida alla fantasia dei colori pennellati, alla suggestione delle figure evocate, allo straniamento di trovarsi faccia a faccia con l’immaginario, il compito di raccontare un po’ di sé.

A. Mezzena Lona. Un viaggio nell’arte di Franca Batich inseguendo il vento

E. GRIDELLI

Chimera? Sogno? Illusione? Tutti noi possediamo un cassetto di colori nella mente, nascosti agli altri, dove raccogliamo i nostri pensieri, i più delicati o i più feroci e, a volte, solo la genialità di una fresca e veloce fantasia è capace di riportarli su carta. Anche se è indiscutibilmente una pittrice con un proprio tratto ben determinato, una ben precisa struttura armonica del colore, dove le forme riempiono gli spazi ed a volte questi ultimi sembrano rincorrere le forme, non è necessario soffermarsi sulla maestria pittorica di Franca Batich per parlare del volume “Inseguendo il vento”. Questo libro non potrebbe mai essere definito un catalogo di opere, ma piuttosto un altro gioco di inseguimenti tra lo spazio del colore della Batich e le parole. Parole che sono poesia di autori come Montale, Zanetti, Magris, Saba e della stessa pittrice. “Inseguendo il vento”, edito per i tomi di Franco Rosso Editore, lascia proprio a chi lo scorre, lo legge e lo rilegge, la possibilità di riaprire quel cassetto personale di pensieri che, appunto, inseguono il vento, ma sono anche parte della nostra personale esistenza.

Un libro che sembra costruito per essere dapprima sfogliato poi, piano piano gustato, fermando nella memoria gli scorci, più che gli squarci di idee e i pensieri che diventano propri, personali. Un’opera senza tempo, destinata ad essere riaperta di tanto in tanto, quando si cerca un attimo di riflessione. Un libro, quindi, da conservare nella propria biblioteca per offrirsi il piacere di riscoprire sempre nuovi significati nell’opera pittorica e letteraria contenuta in esso.

Non è così, infatti, tanto semplice legare con armonia e un filo logico e allo stesso tempo senza forzature mentali, parole e dipinti. In “Inseguendo il vento” le prime sono, però, il riflesso degli altri, in un gioco di colori che rincorrendosi regalano al lettore un carosello di emozioni.

E. Gridelli. Franca Batich, “Il Mercatino”, 27 febbraio 2009

MARIANNA ACCERBONI

… negli ampi e luminosi spazi della Giudecca, Batich espone fino al 30 gennaio quasi una ventina di opere, che riassumono in modo capillare l’evoluzione del suo raffinato e personalissimo linguaggio dagli anni novanta a oggi, una sorpresa ci attende alla Sala vip dell’Aeroporto Marco Polo di Venezia, dove la galleria propone fino a metà febbraio una sequenza dedicata al “teatro della vita”, tema molto frequentato dalla pittrice per esprimere una riflessione surreale, ironica e un po’disincantata sulla verità effimera della nostra esistenza, appesa, spesso anche in virtù del caso, al filo del “Grande burattinaio”. Filosofia che la Batich esplicita mediante un sapiente assemblaggio di materiali dalla sobria immanenza: smalti, papier collés, elementi delicatamente tridimensionali, accostati e sovrapposti in modo magistrali a comporre visioni rarefatte, simboliche, liriche e nel contempo incisive…

M. Accerboni. La triestina Franca Batich espone alla Giudecca, “Il Piccolo”, 22 gennaio 2010

PASQUALE DE FILIPPO

Franca viene alla pittura dal buio della Creazione, quello per intenderci che in un blues il Padreterno arrotola come una coperta per lasciar venire l’alba.
E in questo Nero, che lei chiama colore, contro gli Impressionisti, Franca ritaglia stanze dove si recita, in una notte senza tempo/tinta, l’eterno dissidio di Giobbe e Dio…
Resta questo suo buio rischiarato d’intenti Meticolosi e Geometrici, come si vuole nella ragione dell’essenziale, e se capita Pulcinella lasciamogli fare capriole con le nuvole grigie del Focolare.
Pochi quelli ai quali Franca ritiene di essere debitrice e naturalmente quelli che per l’astratto si misero in rivolta coi novatori dell’immagine: Klee, certo Tamburi, alcuni grigi ferruginosi di Sironi sfuggiti ai suoi neri catrame, e, non mancano, i Segni della Action Painting che seguì la lezione di Pollock e di Kline.

Il PICCOLO

“…La sua pittura intrattiene un rapporto allusivo con gli elemento della realtà piegandoli alle proprie esigenze espressive in un dialogo denso di spiritualità, costruito con colori intensi e intrecci di tarsie cromatiche e calligrafiche.

Nel ciclo degli “ orizzonti” Batich interpreta cieli e tramonti con tonalità di colore rosso che li trasforma in tizzoni ardenti in grado di evocare intensità religiosa, eros e sacralità.

Il tutto ordinato in un rigore geometrico che a sua volta rimanda all’aurora, a quel senso del vivere e del perire, dimostrando ancora una volta che arte e poesia sono sogni: ma ricordando anche che non bisogna perdersi nel sogno, ma bisogna bisogna bensì saperlo dominare…”

Franca Batich, mostra permanente alla’AREA SCIENCE PARK, 11 novembre 2011

Prof. ADRIANO DE MAIO Presidente Area Science Park

“...Le 42 opere donateteci dall’artista, suddivise in tre sezioni “Kòsmos e Chaòs”, “Mito e paesaggi”, “Teatri” e che sono presentate in questo catalogo rappresentano una vera e propria mostra permanente che impreziosisce le pareti del centro direzionale di AREA, portando bellezza all’interno di un liogo di lavoro. Una bellezza “privata” che vogliamo condividere con cultori dell’arte , amanti della pittura o più semplicemente curiosi, organizzando visite guidate…

Dal Testo di prefazione Franca Batich – ARTE e RICERCA
AREA SCIENCE PARK di Padriciano per l’edizioni Franco Rosso, novembre 2011

Dott .FRANCO ROSSO Presidente Ass.ne Culturale Z.04

…E’ particolarmente sintomatico l’abbinamento arte-ricerca, scelto dalla Batich nel privilegiare l’Area, perché intende confermare che creatività e razionalità,fantasia e ricerca, rimsngono binomi indissolubili per una contaminazione dei saperi foriera di idee e di intuizioni.

Nella tesi di laurea che nel 2011 è stata dedicata al lavoro della Batich, viene riportata una sua riflessione sulla “triestinità”, considerata dall’artista come una sorta di “solitudine” della città che dal suo angolo guarda al mondo che va oltre, con un sentimento di alienazione, di malinconia, di nostalgia per qualcosa che c’era e non c’è più, affermando nel contempo che le vicende storiche fanno emergere questo sentimento, ma gli artisti lo percepiscono e lo lasciano trasparire nelle loro opere per dar testimonianza anche per quelli che artisti non sono…

Dal testo di prefazione Franca Batich ARTE e RICERCA,  ediz. Franco Rosso, novembre 2011

ROBERTO AMBROSI

…Possiamo distinguere tre grandi momenti in cui si sviluppa l’iter artistico e meditativo della Batich: uno rigorosamente geometrico, in cui le forme dialogano o si contrappongono tra loro su un unico sfondo atemporale; poi il teatro del mondo, in cui la figura si fa simbolo di un ruolo imprigionante, mossa da fili ineluttabili in una rappresentazione di silenti maschere fisse, dove l’artista si cimenta con l’assemblaggio dei materiali nell’uso della tecnica mista: ecco la dimensione del sogno abitato dalle maschere e del teatro; sul palcoscenico dell’inconscio, l’artista compone e scompone scene malinconiche, traccia apparizioni di burattini ignari del proprio centro, figure senza volume, chiamate sceniche in cerca di identità. In queste opere l’artista pare volgere la sua indagine alla nostra recondita difficoltà di rapportarci con il mondo, dove trascorriamo insieme un tempo, sperimentiamo uno stesso luogo senza svelarci a noi stessi e all’altro da noi…..

Infine, i quadri colore, eletta sintesi di pensiero, spiritualità e tecnica, mutuando pragmaticamente la soluzione americana di Rothko, sebbene riveli una più spiccata sensibilità per i toni e la luce.

Non conosce soluzione di continuità, nelle sue opere, il filo della poesia, linguaggio forse più consono al temperamento di questa artista colta, raffinata, coerente con le proprie istanze spirituali, il cui lessico non declina facili mode ma le rifugge, in nome di ben più alte urgenze e messaggi…”

“…La ricerca è dell’uomo, del suo spirito e della sua ragione più alta. E’ come il viaggio verso un’Itaca remota che ci avrà regalato “il bel viaggio”, in cui il cercare, con la sfida delle sue frontiere, non sarà stato meno importante del trovare, come nell’avventura umana di Ulisse…”

“…L’arte, ricerca antropocentrica per eccellenza, ha trovato nella Batich un’interprete dai registri alti della complessità del mondo…”

Dal testo di prefazione “Il bel viaggio tra Arte e Ricerca” della pubblicazione Franca Batich Arte e Ricerca, ediz. Franco Rosso, novembre 2011

FRANCO ROSSO Presidente Ass.ne Culturale Z04

“…Franca Batich (pittrice scrittrice e già gallerista) è una delle protagoniste più interessanti sul palcoscenico dell’arte cittadina e nazionale. E’ presente in questa rassegna con due opere riconducibili alla sua serie degli “orizzonti” che rappresenta un’evoluzione di un ciclo che attraverso la figurazione di campiture teatrali arriva ad un processo trascendente finalizzato alla dissoluzione del riconoscibile. Opere che si inseriscono e si integrano nella sua “mission” creativa che ha sempre fatto trasparire il suo sentire spirituale, contestualizzandolo nella dimensione dell’esistenza umana contemporanea…”

Mostra “MART & FRIENDS”, Centro Espositivo GLAM ART Trieste, giugno 2018